• -

30.11.2023: Conferenza / laboratorio: Frontiere: città e migrazione oggi

Ai media ticinesi:
COMUNICATO STAMPA

CONCERNE:
Domenico Quirico, Michela Trisconi e Furio Bednarz
giovedì 30 novembre 2023, ore 18,
al Centro Cittadella di Lugano, Corso Elvezia 35.

Conferenza / laboratorio: Frontiere: città e migrazione oggi

Per questioni di “frontiere” e “migrazioni”, ancora oggi nel mondo sono attivi decine di conflitti armati. La drammatica cronaca di queste settimane in Israele e Gaza è purtroppo solo un esempio tra molti. Il tema inoltre segna regolarmente il dibattito politico, il clima sociale e le competizioni elettorali e tra chi fa leva sulle paure e chi scommette sull’apertura il dialogo è difficile. Ma che cosa si nasconde dietro le frontiere e le migrazioni? È possibile viverle come una risorsa e non come un problema?

Se ne parlerà a Lugano in un evento pubblico, nella forma dinamica del “laboratorio”, dove il pubblico potrà intrattenersi liberamente con gli ospiti, in un momento di aperitivo iniziale. L’incontro è promosso della rinata Associazione Cittadella, nel suo nuovo Centro di Corso Elvezia 35, progettato da Mario Botta al posto dell’indimenticabile Teatro Cinema Cittadella

IL CICLO “LABORATORIO CITTADELLA”

L’Associazione Cittadella gestisce il Centro culturale Cittadella, che ospita le attività formative e aggregative della vicina Basilica del Sacro Cuore, e offre i suoi spazi anche a chi li richiede per attività in linea con i suoi scopi associativi. Il Centro si trova al piano terreno della Residenza Cittadella, il nuovo complesso abitativo progettato da Mari Botta sul terreno in cui sorgeva il Cinema Teatro Cittadella, per oltre mezzo secolo punto di riferimento della scena culturale luganese. Memore di questo retaggio storico ancora vivo, l’Associazione intende tornare ad agire nella realtà culturale luganese e contribuire alla vita sociale e aggregativa sia del quartiere sia della regione. 

Tra le varie iniziative, l’Associazione vuole ora attivare il “Laboratorio Cittadella”, un ciclo di incontri che, attraverso spunti e voci di autorevoli esperti, mira a riflettere, assieme alla cittadinanza, su questioni  e  nodi  di  quotidiana  attualità  sulla  città  e  le  forme  e  modalità  di convivenza che la caratterizzano. L’incontro con Domenico Quirico come ospite principale, tra le più stimate voci del giornalismo italiano, è il primo di una serie con cui l’Associazione Cittadella desidera coinvolgere un vasto pubblico.

L’Associazione Cittadella si è profondamente rinnovata la scorsa primavera, con l’arrivo di nuovi soci e l’elezione di un nuovo Ufficio amministrativo, composto da Stefano Izzi (presidente), Linda Fornara Bertona (vicepresidente), e i membri Filippo Bignami, Carlo Regondi, Yasmine Caluzzi, Fausto Leidi, don Italo Molinaro.

L’INCONTRO

Frontiere: città e migrazione oggi

Il primo incontro del Laboratorio Cittadella si pone l’obiettivo di riflettere sull’idea di frontiera, su come essa sia pluriforme, su come gli spazi urbani dove viviamo contengano frontiere spesso invisibili agli occhi e come assuma diversi significati. La frontiera configura un limite che circoscrive uno spazio, materiale e immateriale. Identifica una o più collettività, differenzia tra un dentro e un fuori. La frontiera è sempre al contempo riconoscimento e misconoscimento: integra, distingue, esclude

La porosità o meno di una frontiera dipende spesso della percezione di un rischio. Più è considerato minaccioso ciò che sta al di fuori di essa, minore è la disponibilità ad allentarne le maglie. All’opposto, più è forte la percezione dell’opportunità di trarre vantaggi da ciò che risiede altrove, minore è la spinta alla chiusura. Come dire che la trasformazione o meno di una frontiera in una soglia dipende sempre dalle circostanze. La città rappresenta la frontiera più concreta, vicina a noi, dove pratiche di cittadinanza sono più visibili e percepibili, il laboratorio ove si sperimenta realmente la convivenza e si plasma la frontiera.

Quando la pressione migratoria sulle frontiere aumenta in un quadro di ardua lettura, come lo è oggi, le identità al loro interno si espongono a ciò che è grande illusione e rischio: il chiudersi in sé stesse, percepirsi come in pericolo, autosufficienti. 

Che cosa significa allora costruire la convivenza nella frontiera cittadina? Quale il ruolo di istanze istituzionali, associative, di prossimità, religiose ed aggregative per una percezione di frontiera come opportunità nell’instabile presente?

GLI OSPITI

Don Italo Molinaro, Parroco della parrocchia della Basilica del Sacro Cuore e Filippo Bignami, ricercatore senior della SUPSI, ne parlano con:

Domenico Quirico (caporedattore esteri La Stampa)

Giornalista e scrittore italiano, è caporedattore esteri de La Stampa. È stato corrispondente da Parigi e inviato di guerra. Ha una profonda conoscenza di flussi e processi migratori; si è interessato fra l’altro degli avvenimenti sorti a partire dal 2010-2011 e noti come “Primavera araba”. È autore di numerosi volumi. Nel 2015 ha vinto il Premio letterario Brancati. Ha inoltre vinto i premi giornalistici Cutuli e Premiolino e, nel 2013, il prestigioso Premio Indro Montanelli. Entro la sua ampia ed apprezzata produzione, ha scritto quattro saggi storici per Mondadori (Adua, Squadrone bianco, Generali e Naja) e Primavera araba per Bollati Boringheri. Presso Neri Pozza ha pubblicato Gli Ultimi. La magnifica storia dei vinti e Il paese del male.

Michela Trisconi – Delegata cantonale all’integrazione

Laureata in storia contemporanea all’università di Friborgo, ha svolto un periodo di formazione presso l’Ecole des hautes études en sciences sociales di Parigi, interessandosi soprattutto alla sociologia dei movimenti religiosi. Autrice del Repertorio delle religioni del Cantone Ticino, è membro del Consiglio di fondazione del Centre intercantonal d’information sur les croyances religieuses (CIC) con sede a Ginevra. Dopo varie esperienze professionali in ambito privato a Friborgo e a Berna, ha lavorato presso la Direzione del Dipartimento della sanità e della socialità, e dal 2018 è capo-progetto della Piattaforma cantonale di prevenzione della radicalizzazione e dell’estremismo violento. Collaboratrice scientifica dal 2020 presso il SIS, in questa funzione si occupa dell’analisi di progetti e dei contatti con gli enti attivi nel settore dell’integrazione. 

Furio Bednarz – Presidente Associazione CINI Switzerland

Ricercatore senior e consulente indipendente, attualmente Presidente dell’Associazione CINI Switzerland, collabora con istituzioni di ricerca, associazioni professionali, enti locali e università. È stato Presidente e responsabile della ricerca e sviluppo presso la Fondazione ECAP Svizzera e Direttore dell’Ufficio della formazione continua e dell’innovazione della Divisione della formazione professionale del Canton Ticino. I suoi interessi di ricerca riguardano i temi del mercato e delle politiche del lavoro, delle migrazioni e della formazione professionale. Ha diretto numerosi progetti di ricerca e scambio nazionali e internazionali pubblicando volumi e articoli su riviste scientifiche nazionali e internazionali.

QUANDO E DOVE

Giovedì 30 novembre 2023
Centro Cittadella
Corso Elvezia 35
6900 Lugano
A 5’ a piedi da Autosilo Balestra, Autosilo USI.

Ore 18.00 – Aperitivo e conversazione con ospiti e pubblico

Ore 18.30 – Avvio incontro

Per informazioni: centrocittadellalugano@gmail.com

Entrata libera

Scarica PDF


  • -

  • -

  • -

Verzasca unita per Khaleda e Satayesh

22.12.2022 - Mamma e figlia afgane rischiano espulsione - SEIDISERA

Raccolta di firme a Sonogno in favore di due richiedenti l’asilo cui la Sem ha già risposto ‘picche’ per due volte, intimando loro di lasciare la Svizzera


Leggi articolo di La Regione

24.12.2022 - Un'intera valle si mobilita per due profughe afghane

Mamma e figlioletta di 7 anni espulse per due volte – Lei si sta integrando e la bambina frequenta la scuola – La popolazione firma un appello
 
Sarebbe una bella storia di Natale. Un’intera valle, la Verzasca, che si mobilita per accogliere e sostenere mamma e figlia in fuga dall’Afghanistan. Cinque anni di peripezie attraverso il Medio Oriente, i Balcani, la Slovenia e la Svizzera, con un corollario di pericoli, umilianti controlli alle frontiere, «passatori» esosi e inaffidabili, violenze, disagi e tanta tanta paura. 
 

27.12.2022 - La Verzasca unita contro un'espulsione

Un paese si mobilita per una famiglia afgana

È la voce di un’ intera valle quella che risuona nella raccolta firme per impedire che una madre e sua figlia, fuggite dall’Afghanistan, vengano allontanate dal Ticino, in particolare da Brione Verzasca, dove per la prima volta hanno trovato una comunità che le ha fatte sentire a casa. Contro la decisione di espulsione della Segreteria di Stato della migrazione (SEM) è stato presentato ricorso.

 

Leggi articolo della RSI

 

27.12.2022 - Con il ricorso ben 2’719 firme per mamma e figlia afghane

La Fondazione azione posti liberi si è mossa contro la decisione della Sem di espellere nuovamente la 33enne e la sua bimba di 7 anni ospitate in Verzasca

 

Leggi articolo di La Regione

28.12.2022 - Cara Sem, ti scrivo…

La Val Verzasca ha stretto in un corale abbraccio Khaleda e la figlioletta Satayesh, in fuga dall’Afghanistan, ma ora la legge vuole siano espulse dal nostro paese.

L’ anno vecchio è finito ormai. Ricordi « l’anno che verrà » ? Il familiare brano che ci capita a volte  di canticchiare lasciava qualche luccichio di speranza a cui aggrapparsi. Agli  sgoccioli è ora anche il nostro 2022, quello che non rimpiangeremo. Che ha riportato la guerra in Europa. Che ha procrastinato di nuovo la lotta al degrado ambientale, lasciandoci solo una lunga scia di parole, parole…  Che ha consolidato l’atroce oppressione in Afghanistan. 

Leggi articolo di Naufraghi

È la voce di un’ intera valle quella che risuona nella raccolta firme per impedire che una madre e sua figlia, fuggite dall’Afghanistan, vengano allontanate dal Ticino, in particolare da Brione Verzasca, dove per la prima volta hanno trovato una comunità che le ha fatte sentire a casa. Contro la decisione di espulsione della Segreteria di Stato della migrazione (SEM) è stato presentato ricorso.


Leggi articolo di Bluewin

29.12.2022 - ‘Mamma, staremo qui per sempre? Non lo so, ma ora c’è speranza’

Le parole di Khaleda, 32enne afghana salvata con la figlia di 7 anni dall’espulsione grazie a un ricorso e all’affetto di tutta la Verzasca (e non solo)

 

Leggi articolo di La Regione

29.12.2022 - ‘Ci sono tutti i presupposti per evitare il loro rientro’

Don Marco Castelli, amministratore parrocchiale della Verzasca, e Bianca Soldati, docente della bambina, commentano la vicenda di Khaleda e Satayesh

 

Leggi articolo di La Regione

29.12.2022 - Khaleda e Satayesh per ora restano

La madre e la figlia fuggite dall’Afghanistan ospitate a Brione Verzasca per ora non dovranno lasciare il Ticino. Lo ha deciso mercoledì il Tribunale amministrativo federale. Giovedì la decisione è stata comunicata alle parti. In seguito ad un ricorso presentato il 27 dicembre dall’avvocato luganese Paolo Bernasconi, il TAF ha insomma sospeso “provvisoriamente” l’esecuzione della decisione di espulsione presa della Segreteria di Stato della migrazione. Per evitare il loro rinvio in Slovenia, primo Paese dell’area Schengen in cui erano state registrate, gli abitanti della valle hanno avviato una petizione che ha permesso di raccogliere 2’500 firme.

Fonte: RSI

29.12.2022 - Khaleda e Satayesh possono rimanere

La madre e la figlia fuggite dall’Afghanistan ospitate a Brione Verzasca, dove per la prima volta hanno trovato una comunità che le ha fatte sentire a casa, per ora non dovranno lasciare il Ticino. Lo ha deciso ieri il Tribunale amministrativo federale (TAF). E oggi la decisione è stata comunicata alle parti.

In seguito ad un ricorso presentato il 27 dicembre dall’avvocato luganese Paolo Bernasconi, il TAF ha insomma sospeso “provvisoriamente” l’esecuzione della decisione di espulsione presa della Segreteria di Stato della migrazione (SEM).

 

Leggi articolo della RSI

30.12.2022 - Il cuore della Verzasca per Khaleda e Satayesh. Mamma e figlia possono rimanere

La 32enne afghana è arrivata un anno fa in Ticino con la figlia, in fuga dal suo paese e da un marito violento, poi la SEM le ha rimandate in Slovenia. Loro sono tornate e adesso il Tribunale amministrativo federale ha deciso che possono restare


Leggi articolo di TicinoLibero


  • -

  • -

Riconosciuto dalla SEM il caso di rigore per India e la sua famiglia

Vista l’importante rilevanza pubblica assunta dalla fattispecie, il Dipartimento delle istituzioni, per il tramite della Sezione della popolazione, in via eccezionale comunica che con decisione del 4 febbraio 2022 la Segreteria di Stato della migrazione di Berna (SEM) ha riconosciuto il caso di rigore ai membri della famiglia di India, accogliendo il preavviso positivo dell’Ufficio della migrazione della Sezione della popolazione. Verranno così rilasciati i relativi permessi di dimora B ai componenti della famiglia.


  • -
©Ti-Press / Samuel Golay

Per il Ticino India può restare

RIFUGIATI / Il Cantone auspica che la diciannovenne e la sua famiglia possano rimanere in Svizzera, ma il loro destino è nelle mani della Confederazione – La giovane vive da dieci anni nel Mendrisiotto e in tanti si stanno battendo per evitare che venga rispedita in Etiopia

Di John Robbiani / 19 gennaio 2022 , 22:00 / Ticino

La storia della giovane India sta appassionando i ticinesi. E le dimostrazioni di solidarietà si moltiplicano di giorno in giorno. Si sono mossi i suoi amici, i suoi compagni di scuola, il mondo cattolico (il vescovo in persona) e la politica. Si sono mossi gli avvocati, che hanno chiesto l’applicazione della legge per i casi di rigore, e l’Ufficio (cantonale) della migrazione, che ha scritto ai colleghi della SEM (la Segreteria di Stato della migrazione, federale) dando un preavviso favorevole. Perché India ha vissuto quasi tutta la sua vita in Ticino, perché la sua famiglia (madre e fratello maggiore) si è integrata e perché tutti assieme si sono dati da fare. Il destino della 19.enne India sarà ora stabilito a Berna. E a pesare sulla valutazione dei funzionari federali sarà molto probabilmente il grado di «ragionevolezza» del rientro nel Paese d’origine della ragazza: l’Etiopia. Una nazione con cui la Svizzera nel 2019 ha firmato un accordo che disciplina la cooperazione in materia di rimpatri e per cui dal 2006 esiste un Programma di aiuto al ritorno. Ma è anche un Paese ancora profondamente instabile, dove gli scontri etnici, soprattutto nella regione del Tigray, continuano a causare morti. E poi c’è la fame, con gli emissari del Programma alimentare mondiale che proprio ieri hanno dichiarato che l’area è sull’orlo di un disastro umanitario.

Tutto inizia nel 2002

Ieri il direttore del Dipartimento delle Istituzioni Norman Gobbi e la caposezione dell’Ufficio della popolazione Silvia Gada hanno incontrato i media per parlare del caso («in via eccezionale, visto che lo stesso è diventato di dominio pubblico») e per tentare di chiarire alcuni aspetti tecnici di una procedura, quella delle richieste d’asilo, complessa e non facile da spiegare ai non addetti ai lavori. E per sottolineare, visti i numerosi appelli a Gran Consiglio e Governo, come i Cantoni abbiano in realtà poca voce in capitolo. L’ultima parola spetta sempre alla SEM o, in caso di ricorsi, ai tribunali. Ma facciamo un passo indietro e torniamo al 2012.

È in quell’anno che la famiglia di India presenta una domanda d’asilo stabilendosi a Morbio, ma viene respinta due anni dopo proprio dalla SEM. Vano il successivo ricorso: viene respinto dal Tribunale amministrativo federale, che indica anche un termine per il rimpatrio.

Il secondo ricorso

A questo punto gli avvocati si muovono chiedendo una proroga del termine imposto per lasciare la Svizzera. La famiglia chiede che le venga riconosciuto lo status di apolide non riuscendo ad ottenere i documenti dall’Etiopia. Ma la SEM, e poi di nuovo il Tribunale amministrativo federale, bocciano la richiesta e ribadiscono la decisione di rimpatrio. È in quel periodo (cfr. il CdT del 6 luglio 2020) che parte dell’opinione pubblica inizia a prendere a cuore il caso. Merito soprattutto delle compagne di scuola di India e di una sua ex docente, che portano alla luce la vicenda e chiedono alle autorità di rivedere la decisione.

Il caso di rigore

Ma veniamo agli ultimi sviluppi. Recentemente l’avvocata Immacolata Iglio Rezzonico ha presentato, visto il lungo tempo trascorso dall’arrivo in Svizzera, un’istanza di rigore. Di cosa si tratta? La Legge federale sugli stranieri e la Legge sull’asilo prevedono, a determinate condizioni, la possibilità di rilasciare un permesso di dimora a favore di un cittadino straniero qualora un suo allontanamento lo metta in una situazione personale di estrema gravità. E proprio in quest’ottica andava letto l’appello del vescovo e di diversi parlamentari (PPD, PLR, ma anche della sinistra e dei verdi) che chiedevano, appunto, che il caso di rigore venisse accettato. Una posizione, come confermato da Gobbi e da Gada, condivisa anche dall’Ufficio della migrazione. «In questi giorni – è stato spiegato – abbiamo approfondito il caso e, basandoci sulla giurisprudenza e considerando il fatto che i due giovani hanno vissuto una parte preponderante della loro vita in Svizzera, abbiamo indicato alla SEM un preavviso favorevole». Ci sarebbero insomma, anche secondo i funzionari cantonali, dubbi legittimi sulla proporzionalità del rientro in Etiopia. Questo considerando oltretutto il grado d’integrazione e l’impegno dimostrato nel corso di quasi un decennio di permanenza in Svizzera. Una notizia che, per India e la sua famiglia, rappresenta una speranza. Felici chiaramente anche i loro legali. «Anche se – precisa l’avvocata Iglio Rezzonico – sono stata informata del preavviso cantonale 4 minuti prima dell’inizio della conferenza stampa…». «Ora sarà la SEM – ha sottolineato il PPD in una nota – a decidere il da farsi, tuttavia la scelta del Consiglio di Stato permette di ridare speranza a questa famiglia. Senza l’interesse e l’affetto dimostrato alla ragazza e ai suoi familiari da parte della comunità che li ha accolti e in cui hanno vissuto fino ad oggi, sarebbero già costretti a rientrare nella patria dalla quale erano fuggiti ormai dieci anni fa».

Berna analizza quanto è sicuro tornare nella nazione d’origine

In Ticino tra il 2016 e il 2021 sono state presentate 26 domande per i casi di rigore e solamente una è stata respinta. Richieste che sono poi state sottoposte alla Segreteria di Stato della migrazione (che ha l’ultima parola in questo campo), che ne ha approvate 17 e respinte 7. Sono dati forniti oggi alla stampa dal consigliere di Stato Norman Gobbi e dalla caposezione della popolazione Silvia Gada. Un modo per dimostrare – e per rispondere a una recente interrogazione presentata dal PS (prima firmataria Anna Biscossa) – che sui casi di rigore gli organi cantonali sono meno restrittivi di quelli federali. Questo anche e soprattutto perché la Confederazione, nella sua analisi, attraverso i rapporti forniti dal Dipartimento degli esteri e l’intelligence, valuta, in caso di rimpatrio, lo stato di sicurezza della nazione d’origine dei richiedenti a cui viene negato l’asilo. Una valutazione che ben difficilmente possono fare, con cognizione di causa, i singoli cantoni. Nella sua interrogazione Biscossa indicava l’esiguo numero di richieste presentate in Ticino rispetto ad altri cantoni (632, per esempio, i casi di rigore concessi dal canton Zurigo, con un solo rifiuto; 383 in Argovia, con zero rifiuti). «Sono dati errati – ha risposto Gobbi – e che non riguardano la situazione specifica». Ma come mai questa differenza tra cantone e cantone? «Perché il Ticino – ha spiegato il consigliere di Stato – riceve meno asilanti rispetto ad altre regioni. Questo perché sul nostro territorio, a Pasture, è presente il Centro federale d’asilo». Il Ticino funge dunque da «porta d’entrata» per i richiedenti l’asilo che poi, ottenuto il permesso N, vengono «smistati» tra i vari cantoni. Biscossa si è invece detta convinta che le poche richieste in Ticino siano da attribuire a una sorta di scoraggiamento che spingerebbe i richiedenti l’asilo a non farsi avanti. «Assolutamente – ha ribadito Gobbi – questo non è vero».

©CdT.ch – Riproduzione riservata

Fonte: https://www.cdt.ch/ticino/per-il-ticino-india-puo-restare-IG5091695


  • -

Appello Urgente per India e la sua famiglia

AL PRESIDENTE DELLA CONFEDERAZIONE SVIZZERA, ON. IGNAZIO CASSIS
AL CONSIGLIERE DI STATO, ON. RAFFAELE DE ROSA
AL VESCOVO DI LUGANO, SUA ECCELLENZA VALERIO LAZZERI

India non esiste. India vive, ma non esiste. India vive da dieci anni in Ticino, ma per lo Stato non esiste: non è una sua cittadina. Punto. Eppure, non può smettere di respirare, di crescere, di integrarsi nel territorio che, nel frattempo, è diventato casa sua. Ormai conosce meglio l’italiano della sua lingua madre, ha stretto amicizie, va a scuola. Un
unico statuto difatti le è riconosciuto: essere un’allieva, e che allieva! Tutti i docenti la ricordano con affetto, dalle elementari di Biasca alle medie di Pregassona e di Morbio Inferiore. Anche adesso, al Centro professionale commerciale di Chiasso, è considerata un’alunna impegnata e solare.

Tuttavia, una volta terminati gli studi, presto India non esisterà più, così come è successo a suo fratello maggiore Nurhusien, la cui vita è stata privata di tutto: un posto di lavoro (che aveva trovato, avendo terminato con successo il suo apprendistato), gli amici, pure i compagni del calcio…

India, Nur e la loro madre Munaja possono però esistere anche per un’altra ragione: sono delle persone amiche, a cui si vuole bene. Nonostante i traslochi forzati, questa famiglia si è integrata, perché è straordinariamente resiliente e amabile. Tutto l’affetto e la stima nei loro confronti sono stati dimostrati dalla ex docente di classe che aveva lanciato un accorato appello prima di Natale, sperando in un miracolo: il miracolo di una legge che contemplasse l’amore.

Vi scriviamo dunque questa lettera aperta per appellarci a voi: una persona che vive qui in Ticino, con la madre e il fratello, è in pericolo e ha bisogno urgente di aiuto. Avviene dalle nostre parti, non possiamo voltare loro le spalle, non possiamo fare finta di niente.

A questa piccola famiglia, originaria della fascia di confine tra l’Etiopia e l’Eritrea, è stata rifiutata la domanda di asilo, richiesta però che era stata presentata dieci anni fa! India e i suoi familiari non possiedono documenti, di fatto sono apolidi, perché nessuna delle due nazioni li riconosce come loro cittadini. Per la SEM invece sono etiopi e vanno rimpatriati, perché l’Etiopia è considerato un paese sicuro.

In più, in questi giorni, incombe, concretamente, la decisione del rimpatrio forzato, proprio adesso che in Etiopia la violenza del conflitto va dilagandosi e raggiungendo proporzioni inquietanti: l’ONU ha appena lanciato l’allarme, basandosi su testimonianze di torture, stupri di massa, gravi episodi di brutalità contro la popolazione civile.

Tale, dunque, è la procedura: dopo svariati anni in un limbo, una non-vita di attesa, di incertezza, una donna sola con i propri figli avrebbe dovuto bloccare la sua esistenza in modalità stand-by e ora dovrebbe tornare in una nazione, che non la riconosce come cittadina e in cui sarebbe totalmente sradicata, alla mercé di tutti i pericoli, gli incubi da cui coraggiosamente era sfuggita per tentare di offrire ai propri figli una vita migliore. Dov’è la colpa di tutto ciò? Qual è la colpa di India, Munaja e Nur? Se una persona subisce una tragedia, merita di essere aiutata e protetta, sempre: questo dovrebbe essere uno dei capisaldi indiscutibili delle nostre leggi, del nostro Paese, che ospita l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e l’Alto Commissariato per i diritti umani. Anche grazie alla Dichiarazione universale dei diritti umani, la nostra civiltà si è conquistata dei diritti nel secolo scorso e i nuovi diritti portano con sé l’onere di nuovi doveri.

Lo ha ribadito, con forza e calore, anche Papa Francesco, in visita a Lesbo a inizio dicembre: “il rispetto delle persone e dei diritti umani, specialmente nel continente che non manca di promuoverli nel mondo, dovrebbe essere sempre salvaguardato, e la dignità di ciascuno dovrebbe essere anteposta a tutto. E triste sentir proporre, come soluzioni, l’impiego di fondi comuni per costruire muri, per costruire fili spinati. Certo, si comprendono timori e insicurezze, difficoltà e pericoli. Si avvertono stanchezza e frustrazione, acuite dalle crisi economica e pandemica, ma non e alzando barriere che si risolvono i problemi e si migliora la convivenza. E invece unendo le forze per prendersi cura degli altri secondo le reali possibilità di ciascuno e nel rispetto della legalità, sempre mettendo al primo posto il valore insopprimibile della vita di ogni uomo, di ogni donna, di ogni persona.”

Il nostro Paese, il nostro Cantone, dunque, ha i mezzi per ridare umanità a una situazione divenuta disumana: accordare il permesso di dimora, per caso di rigore, a India, alla sua mamma Munaja e a suo fratello Nurhusien. Dare loro la possibilità, finalmente, per cominciare davvero a vivere la vita, senza più nessuna paura. Un gesto nei loro confronti che si iscrive nella nostra Storia e renderebbe realtà il principio fondante che “la forza di un popolo si commisura al benessere dei più deboli dei suoi membri.”

(Preambolo della Costituzione della Confederazione Svizzera).

PRIMI FIRMATARI

Chiara Simoneschi-Cortesi, Fulvio Caccia, Dick Marty, Vasco Pedrina, Remigio Ratti, Marina Carobbio Guscetti, Gabriele Gendotti, Laura Sadis, Maria e Mario Botta, Daniele Finzi Pasca, Mauro Arrigoni, Bruno Balestra, Don Oliviero Bernasconi, Paolo Bernasconi, Maurizio Binaghi, Rocco Bonzanigo, Mario Branda, Renato Bullani, Marco Cameroni, Myriam Caranzano, Aldina Crespi, Masha Dimitri, Nina Dimitri, David Dimitri, Jacques Ducry, Ivo Durisch, Filippo Ferrari, Morena Ferrari-Gamba, Fabio Fumagalli, Silvana Gargiulo, Markus Krienke, Stefano Lappe, Daria Lepori, Luigi Maffezzoli, Roberta Mantegani, MauroMartinoni, Renato Martinoni, Isabella Medici-Arrigoni, Fabio Merlini, Rodolfo Molo, Stefano Montobbio, John Noseda, Lorenza e Giorgio Noseda-Pedrolini, Franco Plutino, Edo Poglia, Matteo Quadranti, Niccolò Raselli, Giò Rezzonico, Lorenzo Rudolf, Paola Solcà, Ulisse Sutter, Nenad Stojanovic, Claudio Valsangiacomo, Nelly Valsangiacomo, Giordano e Nicoletta Zeli Schaub, Giuseppe Zois, Rosa e Marco Züblin. Nicole Agustoni, Maria Grazia Albertini, Brigitte e Beat Allenbach, Benedetto Antonini, Usman Baig, Danilo Baratti, Carola Barchi, Stefano Bazzi, Bruno Bergomi, Michela Bernasconi, Cristina Bettelini Molo, Anna e Mario Biscossa, Beatrice Biscossa, Micol Bonetti, Rosanna Bonetti, Margherita Bredi, Bea Brenni, Paolo Buletti, Yvone Kocherhans e Giovanni Buzzi, Patrizia Candolfi, Maria Casari,Laura e Antonio Carbone Formenti, Rossana Cardani, Giampiero Casagrande, Ileana Castelletti, Lanfranco Casartelli, Marinella e Mauro Cattaneo, Maria Silva e Fabrizio Ceppi, Massimo Chiaruttini, Francesco Chiesa, Federica Colombo-Casiraghi, Luca Confalonieri, Alice Dermitzel, Piergiorgio De Lorenzi, Pierfranco Demaria, Sabrina e Ilmaz Erbagan, Paolo Farina, Alessandra Felicioni Corti, Maria Rosa Ferrari, Cristina Foglia, Danilo Forini, Eleonora Giubilei, Gabriela Giuria, Marco Grandi, Chris Groh, Gea Helle-Balestra, Beatrice e Francesco Hoch-Filli, Jachen Könz, Viola Könz, Gina La Mantia, Madeleine Leemann e Pierluigi Quadri, Thomas Lechleiten, Vittoria Locatelli, Sofia Luraschi Gomez, Ursina Lys, Davide Macullo, Luca Maghetti, Giorgio Mainini, Natalie Maspoli Taylor, Ornella Manzocchi, Cécile Meier, Ludovica Molo, Marco Mona, Marco Morganti, Stefano Mosimann, Lucia Tramer, Giancarlo Nava, Lucio Negri, Patrizia Pelli-Maspoli, Guido Pedroietta, Stefano Pesce, Pia Pagani, Luca Pianca, Carlo Piccardi, Martine Piffaretti, Monica Pilati, Cristiano Polli Cappelli, Roberto Pomari, Sara Plutino Marti, Daniela e Alessandro Pugno-Ghirlanda, Paola Quadri Cardani, Luciano Rigolini, Tecla Riva, Francine Rosenbaum, Clio e Gabriele Rossi, Isabella Rossi, Claudia e Marco Sailer, Anna Sciancalepore, Sharlen Shari Sassi, Antonio Simona, Michea Simona, Amelia Smithers,Francesca Snider, Enrico e Rosilda Solcà-Soares, Gabriellae Fabio Soldini, Simone Schürch, Giovanna Tabet, Dolores e Rosario Talarico, Francesca e Tiziano Tognina Moretti, Guido Tognola, Giovanni Vergani, Luca Visconti, Caterina Wennubst, Elena Wullschleger, Mara e Nicola Wuhlschleger-Ragusa.

Appello-Urgente-per-India


  • -

Intersos : “Le isole greche sono l’emblema del fallimento delle politiche migratorie Ue”

Tags : 

A 70 anni dalla firma della convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato, ascoltando le storie di chi da anni è intrappolato sull’isola di Lesbo, di chi ha subito violenze ingiustificabili alle frontiere, o di chi viene ingiustamente separato dai propri familiari, si ha la conferma che non si sia fatto altro che procedere all’indietro rispetto a quell’impegno. E le isole greche ne sono l’ emblema.

A partire da marzo 2016, con la firma dell’accordo tra UE e Turchia e l’inizio della politica degli hotspot, l’Europa ha continuato a bloccare persone vulnerabili ai confini, in campi di detenzione sempre più sovraffollati e inaccettabili in termini di condizioni di vita.

Quando, a settembre 2020, un incendio ha completamente distrutto il campo di Moria, sull’isola di Lesbo, sono state molte le dichiarazioni da parte di membri delle Istituzioni europee che promettevano un cambio di passo e un definitivo abbandono di campi inumani come quello appena bruciato. Così non è stato: è stato costruito invece un secondo campo, il campo temporaneo di Mavrovouni, dove le condizioni di vita dei richiedenti asilo sono sempre le stesse – sovraffollamento, mancanza di servizi igienici, rischio di violenze – e per settembre è prevista la costruzione di un nuovo campo, che l’Europa ha finanziato con 76milioni di euro, e che ospiterà tutti i richiedenti asilo presenti sull’isola, comprese le persone più vulnerabili precedentemente accolte in spazi protetti. Questo nuovo campo sorgerà a ridosso di una discarica, in una zona isolata, priva di servizi esterni al campo e di collegamenti con i centri abitati.

I campi delle Isole Egee sono diventati in sostanza centri di detenzione, dove migliaia di richiedenti asilo sono intrappolati, in attesa – anche per anni – di ricevere un responso, con effetti devastanti sulla loro salute mentale. Sono oltre 5.500 le persone attualmente bloccate sull’isola di Lesbo.

Il nuovo Patto EU sull’asilo e l’immigrazione presentato a settembre 2020, inoltre, non fa intravedere uno spiraglio per il futuro. Alla base delle procedure previste nella proposta, infatti, è chiaro che una reale analisi delle vulnerabilità di chi chiede di entrare in Europa venga ridotta all’osso a favore, invece, di politiche di contenimento e deterrenza attraverso una più rapida elaborazione delle richieste d’asilo e un’intensificazione dei rimpatri.

Già oggi, infatti – come raccontano molte delle donne che Intersos assiste a Lesbo – è frequente che vulnerabilità esistenti non vengano riscontrate, causando anche il rigetto della domanda di asilo. I colloqui di asilo rappresentano la prima occasione per rivelare episodi di violenza ed è fondamentale che siano svolti con la massima attenzione. “Quando donne sopravvissute a violenza ricevono il rigetto della loro domanda di asilo, le loro condizioni possono peggiorare bruscamente”, spiega Clotilde Scolamiero, project manager di Intersos a Lesbo. “Il rifiuto rafforza i loro sentimenti di sfiducia e disperazione, provocando anche pensieri suicidi. Molte di queste donne sono sopravvissute a violenze e torture disumane e sono rimaste intrappolate a Lesbo anche per anni, senza protezione, accesso a servizi adeguati, affette da malattie croniche o flashback ricorrenti della loro esperienza traumatica. Nei campi inoltre continuano ad essere esposte tutti i giorni a violenze”.

Tutto questo viene aggravato dalle leggi nazionali: dal 2020 in Grecia chi ottiene lo status di rifugiato perde il diritto a qualsiasi sussidioeconomico ricevuto fino a quel momento ed è costretto a lasciare la propria sistemazione in accoglienza entro massimo 30 giorni. Chi vede accolta la propria domanda d’asilo, dunque, si ritrova con ancor meno sostegno per avviare un percorso di integrazione e rischia di finire in strada in condizioni di povertà totale.

In ultimo, il 7 giugno scorso, la Grecia ha decretato la Turchia come paese terzo sicuro anche per i richiedenti asilo provenienti da Afghanistan, Pakistan, Bangladesh e Somalia. A Lesbo, il 65% dei richiedenti asilo è di nazionalità afgana e l’8% somala. Questo vuol dire che più di 4.000 persone rischiano di essere deportate in Turchia, un paese dove i loro diritti non verranno rispettati. A coloro che provengono da paesi “non-europei” infatti, la Turchia non riconosce lo status di rifugiato nel rispetto della convenzione di Ginevra, ma uno status “condizionale” che non riconosce alcuni diritti come quello al ricongiungimento familiare.

Fonte: http://www.vita.it/it/article/2021/06/18/intersos-le-isole-greche-sono-lemblema-del-fallimento-delle-politiche-/159726/

Fonte immagine: http://www.vita.it/it/article/2021/06/18/intersos-le-isole-greche-sono-lemblema-del-fallimento-delle-politiche-/159726/


  • -

Rapporto Oxfam sui respingimenti al confine greco

Tags : 

Cresciuto esponenzialmente dal 2017 il numero di migranti respinti. La drammatica testimonianza di K., rifugiata politica arrestata e poi rispedita in Turchia su una barca insieme ad altre 150 persone. Restano gravissime le condizioni in cui sono costretti a sopravvivere gli oltre 9.300 migranti intrappolati nelle isole greche

In quattro anni sono passati da centinaia a migliaia i casi dei respingimenti illegali al confine greco. Chi decide di parlare viene criminalizzato. A denunciare questo stato di fatto è l’ultimo rapporto da Lesbo pubblicato (il testo rapporto in inglese ) da Oxfam e Greek Council for Refugees (GCR) alla vigilia della Giornata Mondiale del Rifugiato, che fotografa attraverso testimonianze dirette quanto la pratica del respingimento illegale sia comune e diffusa.

La situazione dei migranti intrappolati a Lesbo (oltre 6.300), soprattutto nel campo di Mavrouni ribattezzato Moria 2.0restano disperate: migliaia di minori non vanno a scuola, spesso arrivano da soli e in molti casi vengono trattati come adulti perché passano mesi prima che venga accertata la loro età; oltre 5.500 persone a Moria 2.0 devono fare i conti con la crescita dei contagi da Covid19 che si sono moltiplicati nel mese di maggio, in assenza di assistenza sanitaria e servizi igienici.
«Chi non viene respinto si ritrova a vivere in condizioni disumane, soprattutto donne e bambini», dice Paolo Pezzati, policy advisor per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia«Più della metà dei migranti che si trovavano a Lesbo a inizio giugno erano donne (il 22%) e minori (il 32%), il che significa oltre 1.800 bambini e ragazzi, che per i 2/3 hanno meno di 12 anni e nel 7% dei casi sono arrivati in Grecia da soli».

La storia di K.

«Sono scappata dal mio Paese per non finire in carcere dopo una condanna ingiusta. Ci avrei passato la mia giovinezza tra maltrattamenti e torture» racconta K., una giovane rifugiata politica, fuggita dal suo paese per evitare persecuzioni e torture.
Dopo essere stata arrestata dalle forze dell’ordine in Grecia – nonostante avesse presentato richiesta di asilo – Kè stata trattenuta per quasi un giorno insieme ad altre persone in un vecchio edificio, al freddo senza né acqua né cibo. «Ho capito che ci avrebbero rispedito indietro. Lo fanno sistematicamente, è una prassi consolidata». La storia si conclude infatti con un respingimento: messa su una barca dalle autorità greche, insieme ad altre 150 persone provenienti da Siria e Afghanistan con la sola prospettiva di finire in mano turca o morire.

«Le leggi internazionali, europee e greche stabiliscono il diritto alla richiesta di asilo e impediscono respingimenti senza un esame del caso personale», continua Pezzati.«Siamo di fronte ad una palese e sistematica violazione delle normative e soprattutto dei diritti fondamentali delle persone che raggiungono l’Europa, in cerca di salvezza».

La testimonianza di K. dimostra uno schema che si ripete in decine di casi, confermato anche dall’Obudsman (difensore civico nazionale), secondo cui «ripetuti e costanti respingimenti si registrano sia sulla terraferma a Evros, sia sulle isole dell’Egeo».

Sui respingimenti non si aprono indagini, nemmeno sui casi più eclatanti, quelli in cui i migranti riescono a presentare alle autorità greche la richiesta di asilo e vengono comunque respinte verso la Turchia, senza che sia presa in esame. Il tutto pur trovandosi di fronte a persone che fuggono da Paesi dove conflitti e persecuzioni sono all’ordine del giorno: a inizio giugno la stragrande maggioranza dei migranti intrappolati nel campo di Moria 2.0 proveniva dall’Afghanistan (il 65%), dalla Repubblica Democratica del Congo (l’11%), dalla Somalia (l’8%), dalla Siria (l’8%) e dall’Iran.

Oxfam si appella all’Unione europea e alla Grecia «Incurante delle pressioni e richieste che si moltiplicano a livello nazionale e internazionale, la Grecia continua a respingere i richiedenti asilo o ad accoglierli in condizioni disumane, mentre l’Ue sta a guardare», continua Pezzati. «L’Ue deve invece assicurare che tutti i suoi membri abbiano al loro interno organismi e procedure per indagare sui casi di respingimento illegale, in modo indipendente e con pieno mandato per esaminare le prove.Sapevamo già di questa vergognosa pratica illegale, ma è giunto il momento di chiedere l’istituzione di un’autorità investigativa indipendente, capace di monitorare e intervenire su quanto accade».

Fonte: http://www.vita.it/it/article/2021/06/18/rapporto-oxfam-sui-respingimenti-al-confine-greco/159729/


Ricerca