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Possono restare: “La bambina non può essere sradicata”

Il Tribunale amministrativo federale ribalta una decisione della SEM – La madre afgana e la piccola figlia, per cui molti in Valle Verzasca si erano battuti, possono rimanere in Svizzera

RG delle 7.00 del 03.12.24, il servizio di John Robbiani

Ascolta qui

Di:Radiogiornale/Robbiani/Spi 

“Un allontanamento verso la Slovenia comporterebbe (…) uno sradicamento della bambina dal contesto scolastico, affettivo e medico costruito attorno a sé”. È questo il “cuore” della sentenza con cui il Tribunale amministrativo federale ha deciso ieri, lunedì, che un mamma afgana e sua figlia, che ha meno di 10 anni, potranno restare in Ticino, in Valle Verzasca. La sentenza ribalta la decisione della Segreteria di Stato della migrazione.

Da più di due anni – una circostanza che ha pesato sulla decisione dei giudici – la donna e la bambina stanno affrontando una procedura lunga e complessa che le vede opposte alla Segreteria di Stato della Migrazione. SEM che nel 2022 le aveva già caricate su un aereo e trasferite in Slovenia, dove figurava avessero depositato una richiesta d’asilo.

Ma erano riuscite a tornare e numerosi abitanti della Valle Verzasca, ma non solo, avevano firmato un appello per farle restare. Si erano mosse anche le scuole. E il Gran Consiglio. Una storia che aveva commosso molte persone: la donna era fuggita dall’Afghanistan perché veniva picchiata dal marito cui era stata promessa sposa a 14 anni. Un altro figlio le era stato sottratto dalla famiglia del coniuge.

Ora potranno restare, anche perché come ha messo nero su bianco il TAF “si evince un quadro positivo e di grande beneficio per loro, che nel caso di un nuovo allontanamento verso la Slovenia comporterebbe la perdita dei supporti e della rete sociale presente sul suolo elvetico”.

Un finale che il loro avvocato Paolo Bernasconi legge così: “Qualsiasi decisione di qualsiasi autorità svizzera deve sempre considerare come interesse superiore quello della protezione del minorenne. Così come previsto dalla Convenzione dell’ONU”.


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Mamma e figlia in fuga dall’Afghanistan possono rimanere in Verzasca

Il Tribunale amministrativo federale ha annullato la decisione di allontanamento delle due rifugiate pronunciata dalla Segreteria di Stato della migrazione – Paolo Bernasconi: «Grazie alle “sentinelle dei diritti umani” tutto è finito bene»

Regalo di compleanno anticipato di qualche giorno per la donna fuggita dall’Afghanistan insieme alla figlioletta e che da tre anni vivono in Valle Verzasca dopo aver trascorso cinque anni di peripezie attraverso il Medio Oriente, i Balcani e la Slovenia. Il Tribunale amministrativo federale (TAF) ha infatti accolto il loro ricorso contro la seconda decisione di allontanamento dalla Svizzera verso la Slovenia – Paese nel quale avevano presentato la prima domanda d’asilo e nel quale erano state riportate nel maggio di due anni fa – pronunciata dalla Segreteria di Stato della migrazione (SEM) il 14 dicembre 2022.

Khaleda, che fra meno di due settimane compirà 37 anni, e sua figlia Satayesh, di dieci anni, potranno dunque continuare a far parte della comunità che le ha accolte e nella quale si sono integrate. Raggiante l’avvocato Paolo Bernasconi, che si è preso a cuore il caso di Khaleda e Satayesh, appellandosi al TAF contro la decisione presa dalla SEM alla vigilia di Natale di due anni fa. «Ci sono le prassi che seguono i funzionari incaricati di evadere le domande di asilo, ma poi ci sono quelle che io chiamo le “sentinelle dei diritti umani”. Si tratta di persone che capiscono quando c’è un abuso e cercano di porvi rimedio. In questo caso le “sentinelle dei diritti umani” sono le maestre della bambina e le donne della comunità verzaschese che non si capacitavano del motivo per il quale lei e sua mamma dovessero essere espulse. Mi hanno telefonato e subito ho deciso di dar loro una mano. Dopo due anni di battaglia giuridica ora l’abbiamo spuntata. Una risposta positiva alla loro domanda d’asilo a questo punto ritengo sia scontata».

Quadro sociale e clinico positivo

Una lunga battaglia durata per la precisione 25 mesi «senza che ciò possa essere imputato alle due ricorrenti, sottolinea il TAF nella sentenza datata 28 novembre. I giudici hanno ravvisato per mamma e figlia un quadro sociale e clinico attualmente positivo e di grande beneficio. Nel caso in cui venissero allontanate nuovamente verso la Slovenia, perderebbero «i supporti e la rete sociale presente sul suolo elvetico, con in particolare uno sradicamento della bambina dal contesto scolastico, affettivo, medico costruito intorno a sé». Ciò potrebbe portare a dei gravi pregiudizi per la bambina «con degli effetti e delle ripercussioni negative anche per la madre», si legge ancora nella sentenza del TAF, che cita a tal proposito la Convenzione dei diritti del fanciullo. Sentenza che, anche vista la durata del procedimento, aggiunge: «Non appare quindi più giudizioso a questo Tribunale disporre un trasferimento delle ricorrenti, avuto soprattutto riguardo alla ricorrente di giovane età».

Riconosciuti i motivi umanitari

Dall’analisi dei documenti prodotti in sede di ricorso dall’avvocato Bernasconi, il TAF ha riconosciuto dei motivi umanitari che «permettono di ritenere che si è in presenza di un cumulo di ragioni che fanno apparire il trasferimento in Slovenia delle ricorrenti come problematico da un punto di vista umanitario». Da qui l’accoglimento del ricorso presentato da Khaleda e Satayesh che annulla la decisione di allontanamento con l’invito alla SEM di avviare la procedura d’asilo nell’ambito della quale dovrà tener conto dell’esistenza dei motivi umanitari.

Viaggio della speranza lungo cinque anni

La fuga di Khaleda e della figlioletta Satayesh da Kabul inizia sette anni fa. Oltre alle vessazioni del marito, Khaleda vuole a tutti i costi allontanarsi da un clima di intolleranza e violenza nei confronti dell’universo femminile che si stava reinstaurando in Afghanistan. Per la donna comincia un viaggio della speranza lungo cinque anni che la porta, come detto, ad attraversare il Medio Oriente, i Balcani fino a giungere in Slovenia. Dopo tre mesi trascorsi in un centro per richiedenti l’asilo a Lubjana, alla fine del 2020 riesce a raggiungere la Svizzera. Lei e la figlia vengono trasferite in una pensione della Valle Verzasca, in attesa che Berna si esprima sulla richiesta d’asilo. Richiesta che viene negata, con il conseguente allontanamento verso la Slovenia eseguito il 19 maggio 2022. Cinque mesi dopo, mamma e figlia raggiungono nuovamente la Svizzera e depositano una seconda domanda d’asilo. Il 14 dicembre dello stesso anno un’altra doccia gelata. Anche la seconda richiesta d’asilo viene bocciata. La comunità verzaschese si mobilita e raccoglie oltre 2.600 firme affinché la SEM torni sulla sua decisione. Lo stesso fa il Gran Consiglio ad inizio 2023 con una risoluzione votata a larga maggioranza. Nei giorni scorsi è infine giunta la sentenza del TAF che dà ragione a Khaleda e Satayesh e che apre loro le porte ad una permanenza duratura in Svizzera.

Fonte: Corriere del Ticino, Spartaco De Bernardi


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Khaleda e Satayesh possono restare

Il Taf ha deciso, le afghane ‘verzaschesi’ possono restare

Il tribunale ha accolto il ricorso di mamma e figlia, scappate dall’Afghanistan e che hanno trovato nella valle locarnese una seconda casa

2 dicembre 2024

La Valle Verzasca le ha adottate e lì potranno rimanere, Khaleda e Satayesh. Ha un lieto fine dal sapore decisamente natalizio, la storia della mamma (oggi 34enne) scappata dall’Afghanistan con la sua figlioletta (9 anni) e che proprio nella valle locarnese ha trovato una nuova casa. Il Tribunale amministrativo federale di San Gallo ha infatti accolto il ricorso – presentato dall’avvocato Paolo Bernasconi – contro la decisione emessa due anni or sono dalla Segreteria di Stato della migrazione (Sem) di espulsione delle due giovani donne, alle quali verrà quindi riconosciuto il diritto all’asilo e potranno rimanere in Svizzera.

Una storia di resilienza e solidarietà

Il secondo tentativo è dunque stato quello buono per la donna e la ragazzina, in fuga da un marito violento e dal regime del terrore afghano e accolte a braccia aperte una prima volta in Verzasca nel maggio del 2022, dopo un viaggio durato 5 anni lungo una rotta migratoria che le aveva messe a dura prova (bloccate in Grecia, ‘rimpallate’ più volte tra Croazia e Slovenia, per finire poi in un campo rifugiati per soli uomini, prive della benché minima assistenza). Alloggiate a Gerra presso la pensione Froda, entrambe avevano iniziato a studiare l’italiano, la donna si era data da fare per rendersi utile in seno alla comunità (facendo fruttare in particolare le sue qualità di sarta e mettendosi a disposizione di alcuni anziani e famiglie con bimbi piccoli) e la bambina era stata inserita nella seconda elementare delle scuole di Brione. Poi, dopo alcune settimane, da un giorno all’altro, la Segreteria di Stato della migrazione (Sem) aveva deciso, facendo valere quanto stabilito dal trattato di Dublino, di rispedirle in Slovenia, primo Paese dell’area Schengen ad averle registrate (in realtà era stata la Grecia, ma quest’ultima non era ritenuta in grado di accogliere degnamente nessuno). Anche l’accoglienza di Lubiana, travolta in quei mesi da un’ondata di migranti, si era però confermata decisamente carente, tanto da mettere in pericolo l’incolumità di mamma e figlia, che così dopo l’estate, con grande forza di volontà e resilienza, erano tornate in Ticino, ripresentando richiesta d’asilo. Una domanda nuovamente respinta dalle autorità federali giusto prima del Natale di due anni or sono, facendo scattare la solidarietà di tutta una regione, concretizzatasi nella raccolta di ben 2’719 firme (accompagnate da letterine e disegni dei bambini delle scuole di Brione Verzasca) e in una risoluzione interpartitica in Gran Consiglio a sostegno della loro permanenza in Svizzera (primo firmatario Fabrizio Sirica del Ps, a cui si erano aggiunti Fiorenzo Dadò del Centro, Alessandro Speziali e Cristina Maderni del Plr e Samantha Bourgoin per i Verdi). Ma soprattutto era arrivato il citato ricorso al Taf presentato dall’avvocato Bernasconi, che dopo aver portato alla sospensione provvisoria dell’esecuzione dell’espulsione, è ora sfociato nella decisione del tribunale di San Gallo a favore di Khaleda e Satayesh.

‘Una decisione straordinariamente rara’

«La sentenza è del 28 novembre ma ci è arrivata stamattina – ci conferma un soddisfatto Bernasconi –. Ci sono voluti due anni, ma alla fine hanno riconosciuto, ed è una decisione straordinariamente rara, il cosiddetto caso umanitario. In pratica, essendo le due perfettamente integrate in valle (la bambina va a scuola con ottimi risultati e la mamma si dà da fare ed è benvoluta da tutti), un allontanamento verso la Slovenia comporterebbe la perdita dei supporti e della rete sociale presenti su suolo elvetico. In particolare lo sradicamento della bambina dal contesto scolastico sarebbe molto pregiudizievole e avrebbe effetti negativi sul suo futuro». Bernasconi ammette di aver, in questi due anni, letteralmente «bombardato il tribunale di prove che dimostrano come loro qui stanno bene, mentre rimandarle in Slovenia sarebbe stato un disastro. E per questo ringrazio anche la rete scolastica, medica e di persone comuni che le hanno assistite in questi lunghi 25 mesi».

Una sentenza definitiva (in materia di asilo non è possibile ricorrere ulteriormente al Tribunale federale) che «finalmente riconosce quello che è stabilito dalla Convenzione Onu per la protezione dei minori, ossia che il bene di questi ultimi deve essere l’interesse superiore che prevale su tutto il resto». Una regola che per l’avvocato luganese «la Sem ha dimostrato di non voler seguire, perché fino al 27 di novembre di quest’anno ha sempre ribadito la sua posizione di voler cacciare mamma e figlia dalla Svizzera».

Invece, anche questo Natale Khaleda e Satayesh lo passeranno nella loro nuova casa, riscaldate nel cuore dall’affetto di un’intera valle.

Fonte: LaRegione, Sascha Cellina


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30.11.2023: Conferenza / laboratorio: Frontiere: città e migrazione oggi

Ai media ticinesi:
COMUNICATO STAMPA

CONCERNE:
Domenico Quirico, Michela Trisconi e Furio Bednarz
giovedì 30 novembre 2023, ore 18,
al Centro Cittadella di Lugano, Corso Elvezia 35.

Conferenza / laboratorio: Frontiere: città e migrazione oggi

Per questioni di “frontiere” e “migrazioni”, ancora oggi nel mondo sono attivi decine di conflitti armati. La drammatica cronaca di queste settimane in Israele e Gaza è purtroppo solo un esempio tra molti. Il tema inoltre segna regolarmente il dibattito politico, il clima sociale e le competizioni elettorali e tra chi fa leva sulle paure e chi scommette sull’apertura il dialogo è difficile. Ma che cosa si nasconde dietro le frontiere e le migrazioni? È possibile viverle come una risorsa e non come un problema?

Se ne parlerà a Lugano in un evento pubblico, nella forma dinamica del “laboratorio”, dove il pubblico potrà intrattenersi liberamente con gli ospiti, in un momento di aperitivo iniziale. L’incontro è promosso della rinata Associazione Cittadella, nel suo nuovo Centro di Corso Elvezia 35, progettato da Mario Botta al posto dell’indimenticabile Teatro Cinema Cittadella

IL CICLO “LABORATORIO CITTADELLA”

L’Associazione Cittadella gestisce il Centro culturale Cittadella, che ospita le attività formative e aggregative della vicina Basilica del Sacro Cuore, e offre i suoi spazi anche a chi li richiede per attività in linea con i suoi scopi associativi. Il Centro si trova al piano terreno della Residenza Cittadella, il nuovo complesso abitativo progettato da Mari Botta sul terreno in cui sorgeva il Cinema Teatro Cittadella, per oltre mezzo secolo punto di riferimento della scena culturale luganese. Memore di questo retaggio storico ancora vivo, l’Associazione intende tornare ad agire nella realtà culturale luganese e contribuire alla vita sociale e aggregativa sia del quartiere sia della regione. 

Tra le varie iniziative, l’Associazione vuole ora attivare il “Laboratorio Cittadella”, un ciclo di incontri che, attraverso spunti e voci di autorevoli esperti, mira a riflettere, assieme alla cittadinanza, su questioni  e  nodi  di  quotidiana  attualità  sulla  città  e  le  forme  e  modalità  di convivenza che la caratterizzano. L’incontro con Domenico Quirico come ospite principale, tra le più stimate voci del giornalismo italiano, è il primo di una serie con cui l’Associazione Cittadella desidera coinvolgere un vasto pubblico.

L’Associazione Cittadella si è profondamente rinnovata la scorsa primavera, con l’arrivo di nuovi soci e l’elezione di un nuovo Ufficio amministrativo, composto da Stefano Izzi (presidente), Linda Fornara Bertona (vicepresidente), e i membri Filippo Bignami, Carlo Regondi, Yasmine Caluzzi, Fausto Leidi, don Italo Molinaro.

L’INCONTRO

Frontiere: città e migrazione oggi

Il primo incontro del Laboratorio Cittadella si pone l’obiettivo di riflettere sull’idea di frontiera, su come essa sia pluriforme, su come gli spazi urbani dove viviamo contengano frontiere spesso invisibili agli occhi e come assuma diversi significati. La frontiera configura un limite che circoscrive uno spazio, materiale e immateriale. Identifica una o più collettività, differenzia tra un dentro e un fuori. La frontiera è sempre al contempo riconoscimento e misconoscimento: integra, distingue, esclude

La porosità o meno di una frontiera dipende spesso della percezione di un rischio. Più è considerato minaccioso ciò che sta al di fuori di essa, minore è la disponibilità ad allentarne le maglie. All’opposto, più è forte la percezione dell’opportunità di trarre vantaggi da ciò che risiede altrove, minore è la spinta alla chiusura. Come dire che la trasformazione o meno di una frontiera in una soglia dipende sempre dalle circostanze. La città rappresenta la frontiera più concreta, vicina a noi, dove pratiche di cittadinanza sono più visibili e percepibili, il laboratorio ove si sperimenta realmente la convivenza e si plasma la frontiera.

Quando la pressione migratoria sulle frontiere aumenta in un quadro di ardua lettura, come lo è oggi, le identità al loro interno si espongono a ciò che è grande illusione e rischio: il chiudersi in sé stesse, percepirsi come in pericolo, autosufficienti. 

Che cosa significa allora costruire la convivenza nella frontiera cittadina? Quale il ruolo di istanze istituzionali, associative, di prossimità, religiose ed aggregative per una percezione di frontiera come opportunità nell’instabile presente?

GLI OSPITI

Don Italo Molinaro, Parroco della parrocchia della Basilica del Sacro Cuore e Filippo Bignami, ricercatore senior della SUPSI, ne parlano con:

Domenico Quirico (caporedattore esteri La Stampa)

Giornalista e scrittore italiano, è caporedattore esteri de La Stampa. È stato corrispondente da Parigi e inviato di guerra. Ha una profonda conoscenza di flussi e processi migratori; si è interessato fra l’altro degli avvenimenti sorti a partire dal 2010-2011 e noti come “Primavera araba”. È autore di numerosi volumi. Nel 2015 ha vinto il Premio letterario Brancati. Ha inoltre vinto i premi giornalistici Cutuli e Premiolino e, nel 2013, il prestigioso Premio Indro Montanelli. Entro la sua ampia ed apprezzata produzione, ha scritto quattro saggi storici per Mondadori (Adua, Squadrone bianco, Generali e Naja) e Primavera araba per Bollati Boringheri. Presso Neri Pozza ha pubblicato Gli Ultimi. La magnifica storia dei vinti e Il paese del male.

Michela Trisconi – Delegata cantonale all’integrazione

Laureata in storia contemporanea all’università di Friborgo, ha svolto un periodo di formazione presso l’Ecole des hautes études en sciences sociales di Parigi, interessandosi soprattutto alla sociologia dei movimenti religiosi. Autrice del Repertorio delle religioni del Cantone Ticino, è membro del Consiglio di fondazione del Centre intercantonal d’information sur les croyances religieuses (CIC) con sede a Ginevra. Dopo varie esperienze professionali in ambito privato a Friborgo e a Berna, ha lavorato presso la Direzione del Dipartimento della sanità e della socialità, e dal 2018 è capo-progetto della Piattaforma cantonale di prevenzione della radicalizzazione e dell’estremismo violento. Collaboratrice scientifica dal 2020 presso il SIS, in questa funzione si occupa dell’analisi di progetti e dei contatti con gli enti attivi nel settore dell’integrazione. 

Furio Bednarz – Presidente Associazione CINI Switzerland

Ricercatore senior e consulente indipendente, attualmente Presidente dell’Associazione CINI Switzerland, collabora con istituzioni di ricerca, associazioni professionali, enti locali e università. È stato Presidente e responsabile della ricerca e sviluppo presso la Fondazione ECAP Svizzera e Direttore dell’Ufficio della formazione continua e dell’innovazione della Divisione della formazione professionale del Canton Ticino. I suoi interessi di ricerca riguardano i temi del mercato e delle politiche del lavoro, delle migrazioni e della formazione professionale. Ha diretto numerosi progetti di ricerca e scambio nazionali e internazionali pubblicando volumi e articoli su riviste scientifiche nazionali e internazionali.

QUANDO E DOVE

Giovedì 30 novembre 2023
Centro Cittadella
Corso Elvezia 35
6900 Lugano
A 5’ a piedi da Autosilo Balestra, Autosilo USI.

Ore 18.00 – Aperitivo e conversazione con ospiti e pubblico

Ore 18.30 – Avvio incontro

Per informazioni: centrocittadellalugano@gmail.com

Entrata libera

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Verzasca unita per Khaleda e Satayesh

22.12.2022 - Mamma e figlia afgane rischiano espulsione - SEIDISERA

Raccolta di firme a Sonogno in favore di due richiedenti l’asilo cui la Sem ha già risposto ‘picche’ per due volte, intimando loro di lasciare la Svizzera


Leggi articolo di La Regione

24.12.2022 - Un'intera valle si mobilita per due profughe afghane

Mamma e figlioletta di 7 anni espulse per due volte – Lei si sta integrando e la bambina frequenta la scuola – La popolazione firma un appello
 
Sarebbe una bella storia di Natale. Un’intera valle, la Verzasca, che si mobilita per accogliere e sostenere mamma e figlia in fuga dall’Afghanistan. Cinque anni di peripezie attraverso il Medio Oriente, i Balcani, la Slovenia e la Svizzera, con un corollario di pericoli, umilianti controlli alle frontiere, «passatori» esosi e inaffidabili, violenze, disagi e tanta tanta paura. 
 

27.12.2022 - La Verzasca unita contro un'espulsione

Un paese si mobilita per una famiglia afgana

È la voce di un’ intera valle quella che risuona nella raccolta firme per impedire che una madre e sua figlia, fuggite dall’Afghanistan, vengano allontanate dal Ticino, in particolare da Brione Verzasca, dove per la prima volta hanno trovato una comunità che le ha fatte sentire a casa. Contro la decisione di espulsione della Segreteria di Stato della migrazione (SEM) è stato presentato ricorso.

 

Leggi articolo della RSI

 

27.12.2022 - Con il ricorso ben 2’719 firme per mamma e figlia afghane

La Fondazione azione posti liberi si è mossa contro la decisione della Sem di espellere nuovamente la 33enne e la sua bimba di 7 anni ospitate in Verzasca

 

Leggi articolo di La Regione

28.12.2022 - Cara Sem, ti scrivo…

La Val Verzasca ha stretto in un corale abbraccio Khaleda e la figlioletta Satayesh, in fuga dall’Afghanistan, ma ora la legge vuole siano espulse dal nostro paese.

L’ anno vecchio è finito ormai. Ricordi « l’anno che verrà » ? Il familiare brano che ci capita a volte  di canticchiare lasciava qualche luccichio di speranza a cui aggrapparsi. Agli  sgoccioli è ora anche il nostro 2022, quello che non rimpiangeremo. Che ha riportato la guerra in Europa. Che ha procrastinato di nuovo la lotta al degrado ambientale, lasciandoci solo una lunga scia di parole, parole…  Che ha consolidato l’atroce oppressione in Afghanistan. 

Leggi articolo di Naufraghi

È la voce di un’ intera valle quella che risuona nella raccolta firme per impedire che una madre e sua figlia, fuggite dall’Afghanistan, vengano allontanate dal Ticino, in particolare da Brione Verzasca, dove per la prima volta hanno trovato una comunità che le ha fatte sentire a casa. Contro la decisione di espulsione della Segreteria di Stato della migrazione (SEM) è stato presentato ricorso.


Leggi articolo di Bluewin

29.12.2022 - ‘Mamma, staremo qui per sempre? Non lo so, ma ora c’è speranza’

Le parole di Khaleda, 32enne afghana salvata con la figlia di 7 anni dall’espulsione grazie a un ricorso e all’affetto di tutta la Verzasca (e non solo)

 

Leggi articolo di La Regione

29.12.2022 - ‘Ci sono tutti i presupposti per evitare il loro rientro’

Don Marco Castelli, amministratore parrocchiale della Verzasca, e Bianca Soldati, docente della bambina, commentano la vicenda di Khaleda e Satayesh

 

Leggi articolo di La Regione

29.12.2022 - Khaleda e Satayesh per ora restano

La madre e la figlia fuggite dall’Afghanistan ospitate a Brione Verzasca per ora non dovranno lasciare il Ticino. Lo ha deciso mercoledì il Tribunale amministrativo federale. Giovedì la decisione è stata comunicata alle parti. In seguito ad un ricorso presentato il 27 dicembre dall’avvocato luganese Paolo Bernasconi, il TAF ha insomma sospeso “provvisoriamente” l’esecuzione della decisione di espulsione presa della Segreteria di Stato della migrazione. Per evitare il loro rinvio in Slovenia, primo Paese dell’area Schengen in cui erano state registrate, gli abitanti della valle hanno avviato una petizione che ha permesso di raccogliere 2’500 firme.

Fonte: RSI

29.12.2022 - Khaleda e Satayesh possono rimanere

La madre e la figlia fuggite dall’Afghanistan ospitate a Brione Verzasca, dove per la prima volta hanno trovato una comunità che le ha fatte sentire a casa, per ora non dovranno lasciare il Ticino. Lo ha deciso ieri il Tribunale amministrativo federale (TAF). E oggi la decisione è stata comunicata alle parti.

In seguito ad un ricorso presentato il 27 dicembre dall’avvocato luganese Paolo Bernasconi, il TAF ha insomma sospeso “provvisoriamente” l’esecuzione della decisione di espulsione presa della Segreteria di Stato della migrazione (SEM).

 

Leggi articolo della RSI

30.12.2022 - Il cuore della Verzasca per Khaleda e Satayesh. Mamma e figlia possono rimanere

La 32enne afghana è arrivata un anno fa in Ticino con la figlia, in fuga dal suo paese e da un marito violento, poi la SEM le ha rimandate in Slovenia. Loro sono tornate e adesso il Tribunale amministrativo federale ha deciso che possono restare


Leggi articolo di TicinoLibero


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Riconosciuto dalla SEM il caso di rigore per India e la sua famiglia

Vista l’importante rilevanza pubblica assunta dalla fattispecie, il Dipartimento delle istituzioni, per il tramite della Sezione della popolazione, in via eccezionale comunica che con decisione del 4 febbraio 2022 la Segreteria di Stato della migrazione di Berna (SEM) ha riconosciuto il caso di rigore ai membri della famiglia di India, accogliendo il preavviso positivo dell’Ufficio della migrazione della Sezione della popolazione. Verranno così rilasciati i relativi permessi di dimora B ai componenti della famiglia.


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©Ti-Press / Samuel Golay

Per il Ticino India può restare

RIFUGIATI / Il Cantone auspica che la diciannovenne e la sua famiglia possano rimanere in Svizzera, ma il loro destino è nelle mani della Confederazione – La giovane vive da dieci anni nel Mendrisiotto e in tanti si stanno battendo per evitare che venga rispedita in Etiopia

Di John Robbiani / 19 gennaio 2022 , 22:00 / Ticino

La storia della giovane India sta appassionando i ticinesi. E le dimostrazioni di solidarietà si moltiplicano di giorno in giorno. Si sono mossi i suoi amici, i suoi compagni di scuola, il mondo cattolico (il vescovo in persona) e la politica. Si sono mossi gli avvocati, che hanno chiesto l’applicazione della legge per i casi di rigore, e l’Ufficio (cantonale) della migrazione, che ha scritto ai colleghi della SEM (la Segreteria di Stato della migrazione, federale) dando un preavviso favorevole. Perché India ha vissuto quasi tutta la sua vita in Ticino, perché la sua famiglia (madre e fratello maggiore) si è integrata e perché tutti assieme si sono dati da fare. Il destino della 19.enne India sarà ora stabilito a Berna. E a pesare sulla valutazione dei funzionari federali sarà molto probabilmente il grado di «ragionevolezza» del rientro nel Paese d’origine della ragazza: l’Etiopia. Una nazione con cui la Svizzera nel 2019 ha firmato un accordo che disciplina la cooperazione in materia di rimpatri e per cui dal 2006 esiste un Programma di aiuto al ritorno. Ma è anche un Paese ancora profondamente instabile, dove gli scontri etnici, soprattutto nella regione del Tigray, continuano a causare morti. E poi c’è la fame, con gli emissari del Programma alimentare mondiale che proprio ieri hanno dichiarato che l’area è sull’orlo di un disastro umanitario.

Tutto inizia nel 2002

Ieri il direttore del Dipartimento delle Istituzioni Norman Gobbi e la caposezione dell’Ufficio della popolazione Silvia Gada hanno incontrato i media per parlare del caso («in via eccezionale, visto che lo stesso è diventato di dominio pubblico») e per tentare di chiarire alcuni aspetti tecnici di una procedura, quella delle richieste d’asilo, complessa e non facile da spiegare ai non addetti ai lavori. E per sottolineare, visti i numerosi appelli a Gran Consiglio e Governo, come i Cantoni abbiano in realtà poca voce in capitolo. L’ultima parola spetta sempre alla SEM o, in caso di ricorsi, ai tribunali. Ma facciamo un passo indietro e torniamo al 2012.

È in quell’anno che la famiglia di India presenta una domanda d’asilo stabilendosi a Morbio, ma viene respinta due anni dopo proprio dalla SEM. Vano il successivo ricorso: viene respinto dal Tribunale amministrativo federale, che indica anche un termine per il rimpatrio.

Il secondo ricorso

A questo punto gli avvocati si muovono chiedendo una proroga del termine imposto per lasciare la Svizzera. La famiglia chiede che le venga riconosciuto lo status di apolide non riuscendo ad ottenere i documenti dall’Etiopia. Ma la SEM, e poi di nuovo il Tribunale amministrativo federale, bocciano la richiesta e ribadiscono la decisione di rimpatrio. È in quel periodo (cfr. il CdT del 6 luglio 2020) che parte dell’opinione pubblica inizia a prendere a cuore il caso. Merito soprattutto delle compagne di scuola di India e di una sua ex docente, che portano alla luce la vicenda e chiedono alle autorità di rivedere la decisione.

Il caso di rigore

Ma veniamo agli ultimi sviluppi. Recentemente l’avvocata Immacolata Iglio Rezzonico ha presentato, visto il lungo tempo trascorso dall’arrivo in Svizzera, un’istanza di rigore. Di cosa si tratta? La Legge federale sugli stranieri e la Legge sull’asilo prevedono, a determinate condizioni, la possibilità di rilasciare un permesso di dimora a favore di un cittadino straniero qualora un suo allontanamento lo metta in una situazione personale di estrema gravità. E proprio in quest’ottica andava letto l’appello del vescovo e di diversi parlamentari (PPD, PLR, ma anche della sinistra e dei verdi) che chiedevano, appunto, che il caso di rigore venisse accettato. Una posizione, come confermato da Gobbi e da Gada, condivisa anche dall’Ufficio della migrazione. «In questi giorni – è stato spiegato – abbiamo approfondito il caso e, basandoci sulla giurisprudenza e considerando il fatto che i due giovani hanno vissuto una parte preponderante della loro vita in Svizzera, abbiamo indicato alla SEM un preavviso favorevole». Ci sarebbero insomma, anche secondo i funzionari cantonali, dubbi legittimi sulla proporzionalità del rientro in Etiopia. Questo considerando oltretutto il grado d’integrazione e l’impegno dimostrato nel corso di quasi un decennio di permanenza in Svizzera. Una notizia che, per India e la sua famiglia, rappresenta una speranza. Felici chiaramente anche i loro legali. «Anche se – precisa l’avvocata Iglio Rezzonico – sono stata informata del preavviso cantonale 4 minuti prima dell’inizio della conferenza stampa…». «Ora sarà la SEM – ha sottolineato il PPD in una nota – a decidere il da farsi, tuttavia la scelta del Consiglio di Stato permette di ridare speranza a questa famiglia. Senza l’interesse e l’affetto dimostrato alla ragazza e ai suoi familiari da parte della comunità che li ha accolti e in cui hanno vissuto fino ad oggi, sarebbero già costretti a rientrare nella patria dalla quale erano fuggiti ormai dieci anni fa».

Berna analizza quanto è sicuro tornare nella nazione d’origine

In Ticino tra il 2016 e il 2021 sono state presentate 26 domande per i casi di rigore e solamente una è stata respinta. Richieste che sono poi state sottoposte alla Segreteria di Stato della migrazione (che ha l’ultima parola in questo campo), che ne ha approvate 17 e respinte 7. Sono dati forniti oggi alla stampa dal consigliere di Stato Norman Gobbi e dalla caposezione della popolazione Silvia Gada. Un modo per dimostrare – e per rispondere a una recente interrogazione presentata dal PS (prima firmataria Anna Biscossa) – che sui casi di rigore gli organi cantonali sono meno restrittivi di quelli federali. Questo anche e soprattutto perché la Confederazione, nella sua analisi, attraverso i rapporti forniti dal Dipartimento degli esteri e l’intelligence, valuta, in caso di rimpatrio, lo stato di sicurezza della nazione d’origine dei richiedenti a cui viene negato l’asilo. Una valutazione che ben difficilmente possono fare, con cognizione di causa, i singoli cantoni. Nella sua interrogazione Biscossa indicava l’esiguo numero di richieste presentate in Ticino rispetto ad altri cantoni (632, per esempio, i casi di rigore concessi dal canton Zurigo, con un solo rifiuto; 383 in Argovia, con zero rifiuti). «Sono dati errati – ha risposto Gobbi – e che non riguardano la situazione specifica». Ma come mai questa differenza tra cantone e cantone? «Perché il Ticino – ha spiegato il consigliere di Stato – riceve meno asilanti rispetto ad altre regioni. Questo perché sul nostro territorio, a Pasture, è presente il Centro federale d’asilo». Il Ticino funge dunque da «porta d’entrata» per i richiedenti l’asilo che poi, ottenuto il permesso N, vengono «smistati» tra i vari cantoni. Biscossa si è invece detta convinta che le poche richieste in Ticino siano da attribuire a una sorta di scoraggiamento che spingerebbe i richiedenti l’asilo a non farsi avanti. «Assolutamente – ha ribadito Gobbi – questo non è vero».

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Fonte: https://www.cdt.ch/ticino/per-il-ticino-india-puo-restare-IG5091695


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